Suor Bruna Bennati figlia di una famiglia molto conosciuta in paese, vive da più di 30 anni in Brasile a Belo Horizonte e di tanto in tanto viene ad Illasi per visitare la mamma novantenne, approfittando per un pò di riposo.
Suor Bruna, mia coscritta e compagna di scuola alle elementari, nonostante che in questi anni, per ovvie ragioni, ci siamo visti di rado, è rimasta una carissima amica. Ho approfittato di una di queste visite per farmi raccontare di lei, pensando con ciò di fare un dono anche ai nostri lettori. Suor Bruna fa parte delle Figlie di San Giuseppe, congregazione fondata dal beato Giuseppe Baldo, le cui suore sono presenti ad Illasi da tanti anni.
Bruna, dopo le elementari che abbiamo frequentato insieme nelle aule di allora, all’ultimo piano del municipio, per qualche anno non ti abbiamo più visto: cos’era successo?
Io da piccolina ero estremamente sensibile, stavo bene in casa e avevo bisogno di sentirmi protetta e il solo andare fuori di casa mi intimoriva al punto di farne quasi una malattia. Non potevo stare lontano dal papà e dalla mamma. Stavo male fisicamente. La mamma, che era molto energica, ha detto: “Io so come fare per aiutarla a superare queste paure”, e ha pensato di mandarmi in collegio. Dopo la quinta elementare mi ci mandò. Allora c’era la possibilità di frequentare le medie o le commerciali, dalle suore di S. Giuseppe di Don Baldo a Tombetta.
In collegio ho trovato la compagnia di mia sorella Luigina, più grande di me di poco più di un anno. Ricordo che la prima volta che la mamma e il papà sono venuti a trovarmi in collegio, mi ero messa a piangere chiedendo di tornare a casa. Ma la mamma rimase irremovibile. Per me fu fortissimo, colpita dalla fermezza della mamma, che mi aveva obbligata a farmi forza. Naturalmente la mamma lo fece per il mio bene, ma questo l’ho capito solo molto più tardi. In quel momento fu durissimo.
Dopo le scuole commerciali, a 14-15 anni – in quei tempi non c’erano tanti studi obbligatori – sono tornata a casa e ho cominciato a lavorare nell’azienda del papà, un salumificio, che in quei tempi impiegava tre-quattro operai. Io ero sempre assieme a loro a tagliare carne, fare insaccati per mortadelle e salami, mentre mia sorella Luigina si occupava della contabilità. Mi alzavo presto, andavo alla messa delle 6 con mio nonno (a digiuno) e, dopo una tazza di caffè preparato da nonna Emilia, iniziavo subito il mio lavoro.
Era un lavoro pesante, che consisteva nel tagliare vari tipi di carne lungo l’arco della giornata, al freddo, ma io non mi sono mai sentita umiliata nonostante fosse un lavoro sporco, “lavare i buei”, ecc.
Come furono gli inizi della tua vocazione?
Nel frattempo avevo continuato a frequentare il catechismo, gli incontri di Azione Cattolica e la domenica dopo le funzioni andavo a giocare dalle suore dell’asilo. Ricordo che una volta, avrò avuto 16-17 anni, suor Alessandra, una educatrice, mi fermò mentre andavo in bicicletta e mi disse: “Ti ricordi che nel Vangelo c’è scritto che Maria ha scelto la parte migliore?” Lei lo disse per farmi riflettere in vista di scelte future. Io a dire la verità non ci avevo mai pensato ma funzionò. Aveva visto giusto: infatti io sentivo in me una cosa diversa per la mia vita, per cui mi mise dentro il desiderio di fare una scelta, ma avevo una grande paura di fare questo passo. Cercavo di non pensarci e di mandar via questi pensieri, ma questi ritornavano.
In quel periodo c’era come curato, ad Illasi, Don Giulio: mi confidavo con lui e lui mi orientava. Giunta all’età di circa 18 anni, ricevetti una lettera di un ragazzo di Illasi che conoscevo e che faceva parte di un gruppo di amici, il quale mi chiedeva di incontrarlo perché nutriva un sentimento per me. Questo mi mise ancor più in discussione, ma io mi sentivo sempre più orientata da un’altra parte. Chiesi a Don Giulio cosa dovevo fare e lui mi incoraggiò a pregare e nello stesso tempo a rispondere a questo ragazzo. Mi ricordo che bruciai quella lettera nella stufa dello scaldabagno. Poi scrissi dicendo che lo ringraziavo per questa preferenza ma che ero in un momento di scelta e stavo pensando ad altri obiettivi per la mia vita.
E il passo successivo, quale fu?
Passato un anno, arrivata a 19 anni, pensai che era arrivato il momento di parlarne in casa, e iniziai dalla mamma dicendole che io avevo dentro il desiderio di farmi suora. La mamma mi rispose: “Io mi sono sposata a vent’anni, al punto che ho avuto bisogno della firma del mio papà per farlo, (in quei tempi la maggiore età era a 21 anni), quindi io non posso dirti niente se tu hai questo desiderio, perché anch’io ho fatto la mia scelta alla tua stessa età”. Dopo la mamma ne parlò al mio papà. Ricordo che un giorno lui passava e ripassava in sala (era molto sensibile) e non sapeva come cominciare. Non mi disse di no, ma, visto il mio lavoro molto importante ormai a capo degli operai, mi chiese, se non era così urgente, di aspettare un anno per dargli il tempo di organizzarsi.
Anche mia sorella Luigina, che era fidanzata con Gianni, voleva sposarsi, mentre tutti gli altri fratelli erano ancora molto giovani. In quel momento mio fratello Mario aveva 1 anno e mezzo, Giovanni 3, Andrea 5, Carlo 9, e la Loretta 12. Non era un momento facile per la famiglia per cui ho aspettato un anno.
Durante questo periodo il papà pensò di riorganizzare l’azienda, e, invece di lavorare le carni per farne salumi, ecc., passò alla sola commercializzazione. Volle anche trovare il lavoro agli operai, perché non voleva licenziarli senza niente. Quindi piano piano riuscì a risolvere le varie situazioni e riorientò il suo lavoro.
E’ sempre una questione di fede, ma quando il Signore chiama…mi son detta, io vado. E’ stato difficile per tutti. Però se mio papà avesse continuato con il macello, negli anni seguenti comunque non avrebbe più potuto continuare, perché con i grossisti, le catene dei supermercati, ecc. non avrebbe più potuto competere, non ce l’avrebbe fatta. Quindi fu provvidenziale anche per lui questo cambiamento.
Ho fatto l’esperienza che bisogna proprio fidarsi e che il Signore ha le sue strade. Quando io sono partita, il 18 ottobre del 1969, avevo quindi 20 anni; mia sorella Luigina si sposò nel maggio seguente e quindi si può dire che siamo partite tutte e due – le più grandi – quasi contemporaneamente, ed eravamo quelle che avevamo un ruolo importante nell’azienda. In quel momento è rimasta Loretta con i suoi 13 anni e tanti fratellini.
Quando ci ripenso, vedo che è stato difficile, sicuramente per tutti, ma quando ci si fida e si pensa che è il Signore che chiama, vuol dire che verranno anche le soluzioni. Io sentivo di non sposarmi e di mettere la mia vita più direttamente al servizio degli altri. La partenza è stata molto difficile per tutta la famiglia. Ricordo che abbiamo fatto le fotografie tutti insieme e che i miei fratellini erano seduti su un mobile, tutti in fila. Sono entrata in convento di sabato accompagnata dal papà e la mamma, Don Alessandro e suor Germanina.
Il martedì seguente mi chiamarono dalla portineria dicendomi di scendere per delle visite. Si può immaginare il mio stato. Per me era sempre stato molto difficile andare via da casa; sono migliorata in collegio, ma la mia natura è questa. Quel giorno erano venuti i miei genitori con tutti i fratellini e Loretta. Mario che aveva 2 anni e mezzo che mi diceva: “Bruna vieni a casa”. E’ stata una grande sofferenza, perché volere o no era uno strappo. Mamma mia!…. Comunque dopo siamo andati avanti.
Tu sei entrata subito dalle suore di S. Giuseppe. Non hai mai avuto altri pensieri su altre congregazioni? Hai scelto subito il campo dell’assistenza.
Non ho avuto dubbi, io mi sentivo bene lì e sono entrata decisa. Non è che volessi provare, avevo già deciso, per me era chiaro: essere libera di dedicarmi al regno del Signore, non avere inciampi, dedicarmi agli altri. Conoscevo le suore dell’asilo e della casa di riposo di Illasi e quindi vedevo questo. Dopo un anno di postulandato e due di noviziato, mi è stato chiesto di diplomarmi in dattilografia e stenografia per poter poi insegnare nel nostro collegio di Tombetta nei corsi di segretarie d’azienda: questo per due anni. In seguito sono andata a Gallio, sull’altopiano di Asiago, alla scuola materna dove sono rimasta 6 anni, quindi un anno a Nervesa della Battaglia e poi di nuovo a Gallio per altri due anni.
Com’è nata l’idea di andare in missione?
Questa esperienza nella scuola materna mi aveva fatto molto bene ed io ne ero contenta, ma sentivo la necessità di essere più implicata nella vita concreta delle persone, specialmente di chi soffre di più. Di questa mia idea avevo già parlato alla Madre vicaria, Suor Silvia-Angela, già 5-6 anni prima, e ne avevo parlato anche col mio confessore, Mons. Rossi, che mi aveva detto: “Tu intanto prega, perché all’inizio può essere un’idea; prega, lasciala maturare e cerca di capire se viene una pro posta anche dalle tue superiore”.
Quindi ho continuato le mie attività normali. Nel frattempo era stata aperta la missione in Brasile e la nostra Madre Generale Suor Licia era andata a visitare le nostre suore, che in quel momento erano in tre, e mi ha telefonato mentre ero a Gallio dicendomi che era stata in Brasile e che aveva pensato a me. Per me è stata una sorpresa…mi ero sentita confermata. E’ stato bellissimo, perché è stato proprio fidarsi… Per esempio, avrei potuto dire al mio confessore: “Io sento questo, lo dico ai miei superiori e chiedo di andare”, e invece ho aspettato. Ed è stato così che ho detto alla Madre: “ Veramente io pensavo proprio a questo, solo che volevo sentire anche da parte vostra questa chiamata…”. Ho chiesto che mi lasciasse un poco di tempo per riflettere ma dopo una settimana ho telefonato e ho detto: “Senti, stiamo facendo lo stesso pensiero, per me è molto significativo. C’è una frase che mi ha sempre dato coraggio: “nella tua volontà è la mia pace” per cui se ti dicessi di no, mi sentirei male”.
Questo è stato in aprile, in luglio ho lasciato Gallio per venire a Verona, a San Massimo al Ceial, per la preparazione di tre mesi alla vita missionaria per l’America Latina (un po’ di cultura locale, la lingua, ecc.). Naturalmente dovevo dare la notizia della mia preparazione per la missione in Brasile ai miei genitori. Sono andata dai miei genitori un pò di sorpresa e ho annunciato la novità.
La mamma mi disse che se io ero contenta lo sarebbero stati anche loro e mi ha incoraggiata. Il papá, uscito dal suo silenzio, ha iniziato a canticchiare come faceva spesso: ” Gioie, dolori, fatiche, speranze, nel sacro calice noi deponiamo, accoglile Signore e benedici”. Sono partita nel 1986. Le suore di Tombetta, dove io ero stata in collegio e che erano ancora lì, si sono molto meravigliate della forza che ho avuto perché mi avevano conosciuto da piccolina, quando per lasciare casa stavo male e mi sembrava la morte, piangendo sempre, poi ero entrata in convento e ora mi lanciavo nel mondo.
….clicca qui se vuoi leggere la seconda parte dell’intervista a suor Bruna…
di Giannino Fasoli