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LA LEGGENDA DEI “SASSI MORI” DELLA BELLOCA

Sassi mori del monte belloca

L’origine della colata di sassi basaltici in un’antica interpretazione fantastica. Il monte d’origine vulcanica nel territorio di Tregnago nella leggenda portata in scena dal gruppo teatrale “La Nogara” di Cogollo. 

 A Tregnago il monte Bellocca, detta “la Belloca”, al femminile, è ben conosciuto e tutti sanno trattasi di un cono di vulcano: è ben visibile la bocca eruttiva, anche se ormai coperta da una florida vegetazione.

Conosciute sono anche le sue pendici, un accumulo di sassi nerobasalto, molto strane e misteriose tanto da dare origine a miti e leggende.

Una di queste storie, che ricorda il Faust, è stata portata sul palco in un filò dal Gruppo teatrale “La Nogara” di Cogollo, che ringraziamo per avercela passata.

La si trova anche sul sito “Racconti di storia” di Tregnago. Ve la facciamo conoscere. ….

C’è da sapere che una volta la Bellocca era una montagna alta fino al cielo. Dalle valli intorno spuntavano rocce che arrivavano fino alle nuvole. In basso, tra le gole strettissime, scorrevano torrenti che facevano un gran baccano da coprire qualsiasi altro rumore. Nelle grotte vivevano orsi e lupi. La gente diffidente non frequentava quel luogo selvatico.

Solo un cavaliere prepotente e malvagio aveva costruito proprio sulla cima il suo castello, dal quale partiva per andare a saccheggiare i paesi del circondario e per rapinare i viandanti. Aveva a suo servizio una masnada de briganti senza scrupoli, i quali picchiavano e anche uccidevano i malcapitati.

Un giorno il cavaliere e i suoi scagnozzi attaccarono un carro colmo di oro. Però questa volta i soldati avevano preso delle precauzioni e in una feroce battaglia riuscirono a uccidere tutti i briganti. Si salvò solo il cavaliere, fuggendo nei boschi della Bellocca, che però fu circondata da un numero infinito di soldati: per il cavaliere non c’era più scampo.

Allora gli ritornò in mente quanto da piccolo la sua balia gli aveva spiegato: alcuni esseri fantastici potevano renderlo invisibile. Senza indugio mise in pratica gli insegnamenti della balia.

Senza far rumore, per non farsi scoprire, attraversò il bosco e raggiunse l’incrocio della Croce del Vento proprio quando il campanile di Campiano suonava mezzanotte.

Eseguendo le istruzioni della balia si mise al centro dell’incrocio, con un bastone disegnò un cerchio tutto intorno e poi sputò tre volte alle sue spalle.

Rinnegò Dio e poi gridò il nome della potente strega del posto: “Hese … Hese … Hese …” Alla nona volta una vecchia tutta rattrappita gli apparve davanti. Era tutta spettinata, senza denti, il naso adunco e la faccia coperta di pori pelosi. Le mani erano sporche di caludene del camino, le unghie erano come gli artigli di un falco e da sotto i vestiti neri spuntavano due gambe storte come derle.

Insomma era inguardabile. “Chi è che mi vuole?” Il cavaliere ammise di essere lui e che voleva aver salva la vita dai soldati. Allora la strega disse: “In cambio voglio la tua anima”.

Al cavaliere non restò che accettare, pena essere preso dai soldati. La strega prese una lurida pergamena e con una penna di gallina nera intinta nel sangue fece firmare al cavaliere il nefasto patto. Dopo di ché la strega sparì, il cavaliere divenne invisibile e così ebbe salva la vita. Stavolta, però, la lezione era servita e il cavaliere cambiò modo di vivere.

Restituì il maltolto ai rapinati, cominciò ad aiutare i poveri tanto che la gente pian piano parlava di lui come di un santo. Restava nel suo pensiero l’infernale patto.

Quando divenne vecchio e prossimo alla morte, prese in mano un crocefisso e si mise in attesa.

Intanto un furioso temporale con lampi e tuoni stava imperversando intorno al castello sulla Bellocca. Ed ecco un colpo di vento spalancare una porta e, preceduta da rumore di passi strascicati per terra, apparve la vecchia strega.

Era, se possibile, più brutta e intorta di cinquant’anni prima. “Sono venuta a prendere la tua anima, come d’accordo”. “Cercala là dove l’ho lasciata tanti anni fa”, e poi si mise il crocefisso sul cuore. In quel mentre la unta pergamene prese fuoco.

Il cavaliere morì salvando la sua anima, alla strega non restò altro che fuggire a cavalcioni di un fulmine.

La strega però mal sopportava di essere stata ingannata. Si issò proprio sulla cima della Bellocca, al centro dell’uragano e agitando una forca concentrò fulmini e saette proprio sul castello del cavaliere.

Tre giorni di fuoco e fiamme circondarono la Bellocca: il castello e le torri andarono a fuoco e in breve crollarono, seguite dal castello, lasciando una enorme conca, la montagna si sgretolò e tutto il materiale rotolò lungo le pendici formando uno spettrale ammasso di sassi mori dove non regnarono più né piante né animali…..

Se andate sulla Bellocca sono lì ben visibili tutti quei sassi neri e bruciati dal fuoco, senza vegetazione, e si sente un gran rimbombo se i sassi vengono percossi. Non andateci da soli e non chiamate la strega perché è lì che si aggira ancora nei dintorni, più brutta e arrabbiata di prima…

 

LA “BELLOCCA” PER IL TURISMO: SUGGERIMENTI

 Il vulcano spento del monte Bellocca con i suoi sassi “mori” è una meravigliosa attrazione turistica. La strada per raggiungerlo avrebbe bisogno di qualche manutenzione, sia del fondo sia nella vegetazione. Qualche albero caduto di traverso e i rovi con le spine pendenti dai rami del bosco rendono difficoltoso il passaggio. Anche la colata di sassi basaltici abbisogna di una certa attenzione. La natura sta facendo il suo corso, come del resto ha già fatto sul resto del monte, e alcune piante hanno messo radice nel centro dei sassi neri. Ma soprattutto il perimetro dovrebbe essere pulito, il muschio e la vegetazione stanno diventando invadenti e un turista non proprio attento, passando a pochi metri dei sassi potrebbe anche non vederli. Poi, magari, non sarebbe male una certa segnalazione per un percorso circolare.

 

 

 

di Lino Pozzerle

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Un commento

  1. Io ho una seconda casa in quei pressi e ricordo che da bambino andavo spesso coi miei genitori a fare le passeggiate sulla “beloca” e la conosco bene.. ricordo le “mazze di tamburo” (funghi buonissimi) raccolti, le piantine di viole e questa distesa quasi “marziana” di blocchi neri tondeggianti anche di 40-50 cm di diametro..
    Ricordo che ci dicevano di stare attenti alle vipere, anche se non ne sono mai state avvistate.
    Ora, a mezza età, sto rivalutando quei luoghi sotto un altra ottica e questa storia non la sapevo, affascinandomi molto 🙂 Mi avete fatto tornare in mente quei periodi e quei luoghi, che da adolescente ho perlustrato in lungo e in largo. Esistono anche grotte, probabilmente rifugi bellici, tra le radure ma non mi sono mai inoltrato piu di tanto dentro.
    Esistono anche sorgenti nei pressi del monte soeio e cimo..
    Noto che in questi 40 anni la vegetazione ha cambiato in modo significativo i luoghi essendo piu rigogliosa e riprendendosi porzioni di terra che un tempo venivano utilizzati per il taglio del fieno e per i pascoli (si, ricordo i pascoli delle mucche da latte da altura con i pastori che venivano su e tornavano giù la sera col classico contenitore in allumio da spalla tipo zaino).
    Che tempi, che esperienze! Grazie!
    Buon proseguimento! 🙂

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