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IL MONDO DELLE “FADE” TRA PASSATO E FUTURO

Giazza
Giazza (una volta) fotografata da Bruno Schweizer.
(gen. concess. Curatorium Cimbricum Veronense).

Miti e personaggi fantastici della Lessinia: che ne sarà di loro? Nella sua tesi di laurea, che diventerà un libro, Giulio Colombari si pone la domanda e la pone a svariati studiosi e cultori delle nostre tradizioni.

Fade, anguane, orchi, basilisco… ed altro ancora. Sono le creature leggendarie della Lessinia, protagoniste di miti e storie che riempivano le sere passate a “far filò” nelle stalle, quando, soprattutto d’inverno, spesso dopo la recita del rosario, gli anziani raccontavano e tutti gli altri ascoltavano, mentre i bimbi, quasi vinti dal sonno, assimilavano, nel torpore del dormiveglia in braccio alle mamme, questi racconti, che sarebbero poi rimasti a far parte della loro memoria ed avrebbero accompagnato la loro vita, vissuta tra realtà, mito e mistero.

La gente cimbra e, più in generale, la gente dei nostri monti, ha condotto per generazioni e generazioni la propria esistenza in compagnia di queste figure, leggendarie e fantasiose per chi oggi ne vuol intraprendere la conoscenza, ma mica tanto per chi a quei filò era presente, tanto da giurare, spesso, di averle viste, conosciute da vicino.

E poi..poi è arrivata la modernità: il televisore in casa ha preso il posto dei filò nella stalla, fino ad allora unica sicura fonte di calore nelle fredde sere invernali.

Più in generale, nel secondo dopoguerra, negli anni cinquanta, il mondo è cambiato e il cambiamento non ha risparmiato, nel bene e nel male, la nostra montagna.

La cultura contadina- montanara, da realtà pienamente vissuta in tutti i suoi aspetti reali e immaginifici, si è sovente trasformata tutt’al più in celebrazione del passato, gestita da mass media non sempre fedeli ed attenti.

Ma quelle credenze, quel magico mondo lessinico, tutto questo è sparito per sempre? E, se sopravviverà, come lo farà? Vi saranno dei cambiamenti, e quali, o rimarrà come i secoli lo hanno mantenuto nel passato? È la domanda che si è posto Giulio Colombari, giovane illasiano autore di una tesi di Laurea Magistrale in Lettere, ottenuta a pieni voti e con lode. Da questa domanda si sviluppa la tesi, che si trasformerà presto in un libro, non tanto perché il neolaureato, peraltro molto schivo ad ogni forma di pubblicità, intenda pubblicarla, cosa che chiunque può fare a proprie spese, ma perché la richiesta di pubblicazione è del professore, Federico Barbierato, che ha seguito il lavoro di Giulio come relatore.

La pubblicazione avverrà sulla prestigiosa collana editoriale QuiEdit, che collabora con le principali Università italiane e sviluppa progetti di area scientifica, didattica e narrativa in ambito sociologico, pedagogico, letterario e scientifico.

La domanda è stata posta da Giulio Colombari a vari personaggi che delle tradizioni e delle leggende della Lessinia hanno fatto l’oggetto di studi appassionati, di ricerche e di produzioni artistiche in ambito teatrale e musicale. È così possibile sentire, su questo tema, i pareri di figure ben note a chi si interessa all’argomento, come Antonia Stringher, studiosa della materia e autrice di volumi sulla storia e le tradizioni della nostra Lessinia, Vito Massalongo insegnante e presidente del Curatorium Cimbricum, Alessandro Anderloni, nota figura che in variegati ambiti artistici esprime in modo prolifico la propria passione per la materia in argomento, Alessandro Norsa, psicologo con documentato interesse alle tradizioni locali, Emanuele Zanfretta, insegnante e musicoterapista, altri appassionati autori di volumi sulla materia, come Giuseppe Rama e Aldo Ridolfi, Simone Fiorio ed Ezio Bonomi, Nadia Massella, insegnante e attiva componente del Curatorium Cimbricum, oltre ad Otello Perazzoli, insegnante, illasiano, noto per affidare al suo organetto la memoria dei canti e delle storie della tradizione.

Sul mutamento epocale avvenuto negli anni del secondo dopoguerra non ci piove, come si dice: tutti gli intervistati ne prendono atto. Quanto alla domanda posta da Giulio Colombari, emerge una serie di interessanti risposte, sugli incalzanti interrogativi rivolti dal laureando.

Vengono chiamate spesso in causa le nuove, anzi le nuovissime, generazioni. La fantasia, si sa, è vivissima in loro e, nonostante vivano immersi in un mondo che, attraverso le sempre nuove tecnologie, propone loro di continuo fantasie di ogni tipo, sono ancora in grado di aprire occhi illuminati e affascinati al racconto delle vecchie storie, specie se proposte con mezzi maggiormente idonei allo scopo, come la musica o il teatro.

Se una cosa è bella, perché gli fa vibrare qualcosa dentro, come ha detto qualcuno degli intervistati, ti chiedono di riproporla. E queste proposte e riproposte sono il lavoro che personaggi come ad esempio Anderloni e Zanfretta svolgono incessantemente, a stretto contatto con i giovanissimi, per far sì che la loro fantasia non si nutra solo di quello che viene dalla televisione o dalle infinite diavolerie continuamente create e distrutte dai media di ogni tipo.

Antonia Stringher, che tiene lezioni di cimbro e che ancora rivive nel ricordo i filò cui partecipava da piccola, constata come anche parlarne adesso ottiene l’effetto di ammaliare chi ascolta, aggiungendo che i bambini si mostrano sempre ricettivi e interessati alle figure mitiche evocate appunto nelle sere passate nella stalla.

Quello che c’era prima, oppure che non c’era, ma era bello, e a volte magari pauroso, pensare che ci fosse, non è per forza cancellato dall’irrompere della televisione che, rivoluzionando il mondo contadino, ha fatto chiudere, insieme con tutte le altre modernità, anche i filò.

Può sopravvivere, proposto ovviamente con modalità diverse da quelle di un tempo, che peraltro, come ammettono tutti gli intervistati, non era certo il giardino dell’Eden, fatto com’era di tribolazioni, chiusura fisica e mentale al mondo.

Inoltre oggi, come ha notato qualcuno dei personaggi interrogati, giovani che hanno ottenuto un’istruzione adeguata e finalizzata anche alla lavorazione della terra, stanno tornando in questo mondo, non più chiuso a quel modo, ma sempre disposto a conservare i ricordi e le magie di allora, evocate da luoghi e manufatti che ne mantengono il segno memorabile, cioè destinato alla conservazione della memoria.

E poi c’è chi lavora per proporre a tutti il ricordo del magico mondo richiamato nella tesi di Giulio Colombari.

Come Alessandro Massalongo, promotore, tramite l’associazione che presiede, di iniziative, come la Festa del Fuoco che ogni anno si tiene a Giazza, capaci di evocare e rievocare le tradizioni. Sarà anche una semplice attrattiva turistica, come lo stesso Massalongo spiega, ma non dev’essere questo un motivo per perdere la speranza che invece per molti diventi stimolo alla riscoperta, a tener vivo il ricordo.

Insomma, anche se non è in queste poche righe che si può riassumere la tesi di Giulio, che approfondisce il tema in termini molto più complessi, sembra che fade, orchi e compagnia possano sopravvivere in qualche modo, insieme al mondo che popolavano, il tutto ovviamente riproposto con diverse modalità rispetto a come accadeva prima degli anni cinquanta. La fantasia per compiere questa missione salvifica della nostra tradizione non manca.

I destinatari di questo lavoro, si è visto, sono i giovanissimi, la cui naturale apertura alla meraviglia do vrebbe essere riempita al più presto, sgomitando senza paura con gli input incessanti e travolgenti provenienti dalla società virtuale alla quale il concetto di comunità (quella vera) poco importa.

Essere comunità, e in essa coltivare anche i miti e le leggende, che a loro modo sono storia, è altra cosa. Al massimo, oggi si parla di tutela di “territorio”, come rileva Anderloni, senza nascondere la sua irritazione per gli sproloqui intorno a questo termine: ”Non potrebbe spingermi a niente il promuovere il territorio”, spiega Anderloni, al quale sarà affidata l’introduzione del libro, ”una delle parole più abusate in assoluto: non c’è discorso di sindaco o assessore che non usi la parola “territorio”. È una parola abusatissima dietro la quale spesso si nasconde il nulla. Se qualcuno vedesse il mio lavoro come promozione del territorio mi piacerebbe dargli fuoco, al territorio.

Una delle cose che ho fatto nella mia vita è ripetere e ribadire che il famoso territorio è distrutto. Basta guardarsi intorno: parliamo di territorio e apriamo cave, facciamo serre di fragole e poi diciamo che sono per la promozione del territorio… No, non mi spinge assolutamente tutto questo, né tanto meno il folklore. “

La continuità di questo mondo, si è detto, è affidata alla fantasia, che è parte dell’uomo e non muore mai.

Neanche quel mondo quindi potrà, né dovrà, morire e lo stimolo in tal senso Anderloni, insieme ad altri, lo ha affidato al teatro e ai bambini come protagonisti, perché, come egli afferma, “sono il proseguimento, sono il futuro. E se una cosa la canti e la reciti da bambino ti si imprime dentro la pelle”.

Anderloni fa riferimento allo spettacolo teatrale e musicale “Sera i oci: te conto na storia”, da lui scritto e diretto, che ha per protagonisti tanti bambini. Ecco: è quel “serare i oci” che garantisce la continuità. La fantasia non muore, ha solo bisogno di recuperare dal passato le figure che la popolano, messe ai margini dal cambiamento del mondo.

Forse è questo il messaggio finale della tesi? Forse. Ognuno può pensarla come vuole. Ma più della certezza delle risposte, in questo caso, vale l’importanza della domanda, che ci aiuta a tener vivo l’interesse.

E a “serare i oci”, in attesa di una storia.

 

Tipico montanaro cimbro
Tipico montanaro cimbro
degli anni ’40 nella bellissima foto
di Bruno Schweizer.

 

di Luigi Verzini

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