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È GIÀ TARDI, MA IL MONDO CHIUDE GLI OCCHI

Riscaldamento globale: prospettive catastrofiche per il futuro prossimo.

Riscaldamento globaleEra una mattinata di fine ottobre e, uscendo dall’Università, stavo leggendo qualche notizia sul mio telefono. Finii col leggere un articolo dell’Esquire basato su un recente rapporto dell’IPCC (International Panel on Climate Change) e quello che appresi mi sconvolse.

 

Lessi che, per evitare la catastrofe climatica provocata dagli effetti del “Global Warming” (ovvero il riscaldamento globale), bisognerebbe, entro il 2100, mantenere la temperatura del globo al di sotto di +1,5 C rispetto all’epoca pre-industriale. Per farlo, il margine di azione è circa un decennio.

I cambiamenti politici, economici e culturali necessari per raggiungere quest’obiettivo, però, sono talmente estremi da garantirci sicuramente un incremento di +2 C. Inoltre, a rendere più grave ancora la situazione, rispettando alla lettera gli attuali patti per ridurre le emissioni si arriverà a +3 C entro il 2100. Ma è possibile che un aumento così poco percepibile (quanti di noi saprebbero differenziare una temperatura di 20 gradi invece che di 23?) possa avere conseguenze così gravi?

Tre gradi in più potrebbero portare, per esempio, la distruzione delle foreste amazzoniche, la desertificazione di fiumi come l’Indo, con relativa impossibilità di coltivazione nelle aree limitrofe, il che porterebbe povertà e fortissimo disagio sociale. Con tre gradi in più lo scioglimento del permafrost (il terreno gelato nell’Artico) porterebbe innanzitutto un aumento di CO2 nell’atmosfera (causato dallo scioglimento della materia organica), poi alla distruzione delle barriere coralline (con il loro ecosistema) e l’inabissamento di città come Osaka, Shangai, Rio de Janeiro e Miami.

L’IPCC propone dei modelli per frenare il riscaldamento globale sotto la soglia dei +2 C, ma, a leggerli, solo i meno sani di mente potrebbero riscontrare una loro concreta attuabilità. Parlando di combustibili fossili, entro 15 anni bisognerà dimezzare il loro uso ed entro 30 azzerarlo totalmente. Per fare questo, bisognerebbe abbandonare oggi stesso benzina e gas.

Questo comunque non basterà, sarà necessario creare tecnologie per risucchiare la CO2 presente nell’atmosfera e evitare che gli impianti industriali ne sfiatino anche solo un milligrammo. Oppure, se ci piace farci del male, avete presente la Cina? Quell’immensa nazione con una superficie di circa 10 milioni di chilometri quadrati? Ecco, entro il 2050 bisognerebbe reimpiantare una Cina fatta di foreste.

Per capirne la proporzione, andrebbero ripiantate, ogni mese, foreste per l’equivalente territoriale di poco meno della superfice del Belgio. E se, non ci siamo detti da soli che “tutto questo non accadrà mai”, ce lo facciamo dire da Gary Yohe, economista ambientale presso la Wesleyan University, che ritiene che i +2 gradi siano “ambiziosi” e +1,5 semplicemente “un’aspirazione ridicola”. Bisognerebbe quindi abituarci all’idea di come potremmo esistere in un mondo con un temperatura superiore di 2,5 o 3 gradi.

Secondo Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), “L’ultima volta che sulla Terra si sono avute concentrazioni di anidride carbonica pari a quelle attuali è accaduto 3-5 milioni di anni fa, quando le temperature erano più alte di 2-3 gradi Celsius e il livello dei mari era più alto di 10- 20 metri rispetto a quello attuale”.

Queste osservazioni sono basate sulle concentrazioni medie di anidride carbonica pari a 405,5 parti per milione, dati disponibile nell’ultimo bollettino (2017) della WMO. Sia chiaro, quello che ogni singolo può fare deve assolutamente farlo. Problemi macroclimatici come questi non sono risolvibili da una, dieci o cento persone, però siamo chiamati a prendere consapevolezza di quello che sta succedendo e ad agire in merito.

Per esempio, dobbiamo avere la coscienza che un mozzicone di sigaretta gettato a terra impiega decenni a degradarsi e che la quantità smisurata di plastica che usiamo viene riciclata solo per il 10% e che quindi sarebbe utile diminuirne drasticamente l’uso.

Però chiaramente è la classe dirigente e politica che deve prendersi a carico maggiormente questa problematica, perché sono loro che hanno i mezzi per apportare cambiamenti importanti e significativi. E se da una parte i paesi nordici come Svezia e Norvegia hanno dichiarato guerra all’uso della plastica e dei combustibili fossili, dall’altra abbiamo il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ritiene che il riscalda-mento globale sia una bufala creata, e cito testualmente, credetemi, “da e per i Cinesi così da rendere l’industria degli Stati Uniti non competitiva”.

E, sempre per voler tenere fede al suo impegno quotidiano di mostrarsi una persona di spiccata sensibilità ambientale e con un forte senso dell’umorismo, il 20 gennaio 2019 ha scritto un tweet che mi permetto di tradurre per voi lettori:”State attenti e cercate di stare nelle vostre case. Grandi parti del paese stanno subendo grandissime quantità di neve e temperature fredde da record. Incredibile quanto grande sia questo sistema. Non sarebbe male avere un po’ del buon vecchio riscaldamento globale adesso.”

Chissà se, quando Miami verrà sommersa, i cittadini americani la vedranno nello stesso modo. Spostandosi più a sud, la situazione non migliora. La vittoria di Jair Bolsonaro, in Brasile, ha portato a capo di una delle economie in più rapida crescita del mondo uno che ha dichiarato di voler costruire un’autostrada nella foresta amazzonica, riaprire la stessa foresta alle coltivazioni e abolire il Ministero dell’Ambiente.

Voi, giustamente, direte che questi due individui sono un danno per la civiltà umana e per il futuro dei vostri figli e dei figli dei vostri figli. E avete ragione. Peccato che non tutti gli italiani la pensino così.

Matteo Salvini (il quale, anche se nei suoi trascorsi ha dichiarato che “il tricolore non mi rappresenta” e “Padania is not Italy”, è italiano) si è sempre schierato in linea con le politiche dei due presidenti d’oltreoceano, a colpi di “#GODONALDGO” e “#GOBOLSONAROGO”.

Ma qualche dichiarazione ad effetto l’ha fatta anche lui: con la sua inconfondibile eleganza da alto statista si esprimeva così sul tema dei migranti (tanto per cambiare) climatici: “Cos’è il migrante climatico? Dove va? Se uno in inverno ha freddo e in estate ha caldo migra? Siamo seri. Ne abbiamo già tanti. Il migrante climatico è anche uno di Milano a cui non piace la nebbia?”. Bisognerebbe andare a spiegargli che, solo nel 2016, 24 milioni di persone hanno lasciato la loro casa a causa dei disastri ambientali o che, in poche decine di anni, 2 miliardi di persone (tra cui, con ogni probabilità, molti italianissimi veneziani) dovranno spostarsi a causa dell’innalzamento del livello del mare.

Gli ecologisti, in Italia, avevano visto un barlume di speranza con la formazione del Movimento 5 Stelle, che nella sua propaganda ha sempre avuto una particolare attenzione verso i temi ambientali. Nella propaganda, appunto. Perché una volta arrivati ai palazzi di potere, hanno dedicato nel famoso Contratto di Governo ben 280 parole al tema ambientale. Se alla maturità avessi consegnato un saggio di 280 parole sull’ambiente probabilmente sarei ancora a ripetere il quinto anno.

Ma se vogliamo andare sul concreto ci basta guardare al recente decreto emanato dal Governo, quello per la ricostruzione del ponte Morandi a Genova. Con questo decreto, ora, le aziende che trattano le acque reflue potranno sversare nei terreni agricoli fanghi con percentuali di idrocarburi di mille milligrammi per chilo, venti volte di più rispetto al limite precedente.

Voi direte “cosa c’entrano le percentuali di idrocarburi dei fanghi con il ponte Morandi?”. Non ve lo so dire, non l’ho capito neanche io. Bisogna quindi sperare che la presa coscienza dell’importanza del riscaldamento globale avvenga il prima possibile, prima, si spera, che la natura presenti il conto in maniera ineluttabile

. Vanno cambiati i modelli economici, politici, sociali. Bisogna porre un freno al consumismo sregolato che ha contraddistinto gli ultimi decenni e, se a noi cittadini sarà chiesto qualche sacrificio, come il dover rottamare la nostra macchina perché non più in linea con le normative ambientali, il motivo c’è, è serio e riguarda tutti noi.

Alla fine, cosa ce ne faremo di tutti questi oggetti quando non avremmo più acqua da bere?

 

di Pietro Colombari

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