Immaginate di essere alla fermata del bus, pronti a tornare a casa. Immaginate magari che sia vostro figlio a prendere quel bus. Il mezzo finalmente arriva, voi salite e l’autista fa il proprio dovere: vi chiede di esibire biglietto o abbonamento. Voi però ne siete sprovvisti e non intendete acquistare un ticket nuovo. L’autista insiste, lo deve fare, ma nonostante questo vi lascia andare. Voi vi sedete ma quando è il momento di scendere decidete di “farla pagare” al malcapitato sputandogli in faccia.
Siete riusciti a immaginare tutto questo? Oppure la conclusione del breve racconto vi ha portato a scuotere la testa, sostenendo che voi un gesto simile non lo fareste mai? O peggio, vi siete messi a ridere perché tutto questo vi sembra impossibile? Non lo è.
È accaduto a Porto di Legnago, sulla linea 144: due giovani non hanno gradito la richiesta del conducente e hanno deciso di “ringraziarlo” sputandogli in faccia. La linea 144 non è nuova a episodi simili: cinque giorni prima un altro autista è stato picchiato da quattro ragazzi e finito al pronto soccorso con il setto nasale fratturato.
Ora, lasciamo da parte gli altri, purtroppo tanti, episodi di cronaca simili; mettiamo via il pensiero, sebbene naturale, che “è accaduto vicino a me ma non qui da me” o i vari commenti, davvero di cattivo gusto, “magari se l’è cercata” o “avrebbe potuto lasciar perdere” e facciamo invece una riflessione.
Episodi simili si collegano strettamente, anche se non sembra, a quelli di violenza sugli insegnanti o sui genitori, ai fatti di bullismo, all’abbandono della scuola, alla mancanza di rigore e disciplina nello sport. Cambiano gli spazi, i protagonisti, i fatti ma a tenerli uniti sono le motivazioni di fondo, spesso taciute o trascurate. Fate una breve ricerca su Google: se cercate il risultato dell’ultima partita di calcio o fatti di politica non avrete problemi a trovare infiniti articoli, spunti, commenti. Se invece avete bisogno di un aiuto per comprendere un atteggiamento insolito di vostro figlio, se volete trovare un testo che parli dei giovani, talvolta giovanissimi, dei loro comportamenti, incapperete in qualche breve fatto di cronaca ma niente di più.
Forse ci sono altri mezzi per parlarne o per avere informazioni ma si ha comunque la sensazione che tutto venga nascosto sotto la sabbia che in superficie deve apparire candida e bellissima. Proviamo a non nasconderci dietro il solito “i tempi sono cambiati” o al poco gradito “i giovani così sono sempre esistiti” e tentiamo invece di rispondere a una semplice domanda: perché? Perché un giovane si sente libero di sputare in faccia a un autista che gli ha chiesto di esibire il proprio biglietto? Perché un ragazzo riesce a rispondere in modo maleducato a un insegnante che tenta solo di fargli rispettare delle semplici regole? Perché un altro ragazzo deve essere preso in giro o peggio picchiato perché ritenuto diverso? Celebriamo, giustamente, ogni anno la festa della donna ma non parliamo del fatto che ancora adesso certe ragazze a scuola siano isolate o derise dalle loro coetanee per motivi spesso futili ma che provocano invece in alcune di loro una ferita spesso non rimarginabile.
È vero, alcuni giovani non vogliono essere aiutati e molti adulti tentano ogni soluzione educativa per risolvere i loro problemi. Ma ci sono anche molti ragazzi che dietro un trucco pesante, uno sguardo indifferente, chiedono aiuto, talvolta senza saperlo. I social hanno così successo perché ci permettono di attirare l’attenzione, nel bene e nel male. Ma sono un segnale limpido di un vuoto interiore. Usarli non è un male, ma chi sta bene con se stesso, con i propri amici, ha davvero bisogno di mostrarlo al mondo? Soprattutto chi lo fa in modo compulsivo, misurando la propria importanza sui like ricevuti. Proviamo a controllare i social dei nostri ragazzi e capiremo molte cose.
Talvolta siamo noi adulti a sbagliare, dandogli tutto ciò che desiderano, giustificando ogni loro azione. Per carità, teniamo lontano i tempi del “pan e acqua”, ma proviamo ad aprire gli occhi. E gli insegnanti, “i tanto invocati maestri grandemente scarseggiano perché non credono più al loro magistero” (Isabella Bossi Fedrigotti, “Corriere della Sera”), perché privati di autorità, privati spesso del sostegno, davvero necessario, degli altri adulti. Quindi cosa possiamo fare? Forse intanto parlare di più con loro, cercare delle soluzioni, magari agire tutti insieme, non considerarci, noi adulti, l’uno il nemico dell’altro; perché, come ha detto Papa Giovanni XXIII, “molti parlano dei giovani, ma non molti parlano ai giovani”.