“Otto persone hanno portato l’attualità mediatica a dimensione di comunità”.
Ne parliamo con il sindaco Paolo Tertulli
Parlare di migranti/clandestini/profughi, tecnicamente “richiedenti protezione internazionale”, già sempre presenti sulle pagine dei giornali, nei dibattiti televisivi, nelle strade e piazze delle nostre città e paesi, ma anche a migliaia in fondo al Canale di Sicilia? Parlarne anche qui, sul nostro piccolo giornalino locale, per replicare il quotidiano, sempiterno e onnipresente dibattito mediatico, per tirar fuori da un usurato e stanco repertorio gli ormai già vecchi neologismi: buonismo, boldrinismo, aiutiamoli- a-casa-loro, razzismo (non è una parola nuova ma va di moda metterla ovunque) ? Che senso ha? Cosa possiamo aggiungere di nuovo a tanti discorsi, a tanto clamore, a già troppe parole? Niente, non ci sarebbe niente da aggiungere, se non fosse che, qualche tempo fa, com’è noto, sono stati otto di questi migranti/profughi/ clandestini – ognuno ha la sua definizione, corrispondente al proprio punto di vista – che si sono aggiunti alla popolazione residente di Cellore.
Per la legge, s’è detto, sono “richiedenti protezione internazionale”, secondo la definizione derivante dalla Convenzione di Dublino, firmata nel 1990 e poi modificata nel 2003 e nel 2013. Otto persone ospitate presso un’abitazione del paese, che, come dice in modo efficace il sindaco Paolo Tertulli “hanno portato l’attualità mediatica a dimensione di comunità”. Non più cronaca, non più titoli di giornali o dispute mediatiche da integrare con le nostre chiacchiere da dopocena o da bar, ma realtà quotidiana, che tocca Illasi come ha toccato molti altri paesi della provincia e, in misura ovviamente maggiore, la città.
L’eco di un fenomeno epocale che Illasi, ed in particolare la frazione di Cellore, è chiamata a vivere nel suo microcosmo. E allora forse non è sbagliato parlarne, nemmeno per La Piazza. Ed è proprio con il sindaco Tertulli, che gentilmente ha accettato il nostro invito, che abbiamo fatto qualche piccola riflessione su questo evento.
“Le migrazioni sono il fenomeno epocale di questo tempo; immagini e notizie alla facile portata sembrano rendere ancora più attuale e inquietante il movimento di popoli”, commenta Paolo Tertulli, per poi aggiungere: “Se provo a documentarmi, scopro che le migrazioni fanno meno paura. C’é tanto di noi alla radice di questi movimenti, anche se non ce ne accorgiamo: l’Europa é diventata l’America dell’Africa, siamo un continente che attrae per lo stile di vita e siamo un continente che sta invecchiando. Abbiamo bisogno di energie per quei mestieri e lavori che abbiamo abbandonato da tempo: il pastore, il bracciante, l’operaio d’altoforno, il malgaro. Quelle braccia ci portano ricchezza, ma fatichiamo a farvi i conti fino in fondo. Torna di attualità il sospiro dello scrittore svizzero Max Frisch, negli anni Ottanta: «Volevamo braccia, sono arrivati uomini », spiegando così perché troppi connazionali fossero ostili agli immigrati italiani contro cui avevano scatenato tre referendum.”
Sono arrivati uomini. E quando gli uomini arrivano dove vivono altri uomini, se non c’è corrispondenza economica, culturale, etnica, le reazioni sono inevitabili: inutile nasconderselo e ipocrita sarebbe ignorarlo. Però, per dirla con Mattia Feltri (La Stampa) – da non confondersi, è il caso di sottolinearlo, con il padre Vittorio, dal quale ha sì ereditato il cervello ma l’ha diversamente usato –
“ci si vorrebbe sentire liberi di ricordare che l’immigrazione è un problema enorme, globale, terribile, umanitario, e ognuno ha il diritto di pensare che vada assecondata o contrastata, ma né il lassismo romantico di sinistra, per cui di migranti ne entrino molti e poi si arrangino, né il lessico razzista di destra, per cui vanno cacciati casa per casa, né tantomeno le viaccuse di correità aiutano a fare un solo passo. Sono posizioni che non dicono niente del problema, ma dicono molto di chi le sostiene: sono i mandanti morali del nostro orgoglioso rincretinimento”.
Per cui, sgomberato il campo da ogni equivoco o pregiudizio, stabilita la volontà di cercar di star fuori da detto rincretinimento, proseguiamo la riflessione con il sindaco, che aggiunge:
“C’é tanto di Occidente nella decisione di un africano di lasciare la terra di origine: guerre, traffico di armi, appropriazione indebita di terre, di acqua, di cave di minerali di ogni tipo. Se uno percuote un alveare per portare via il miele, le api lo inseguono”, dice un proverbio africano riportato nell’ultimo libro del sociologo Stefano Allievi, titolo: “Immigrazione. Cambiare tutto”. Come era immaginabile tutto ha fatto capolino nella vicenda del piccolo Centro di Accoglienza Straordinario, istituito dalla Prefettura come ‘spazio governativo’ per gli 8 ragazzi che sono alla prova con la richiesta di asilo internazionale. Ho sentito nelle piazze gli slogan contro: “perché ce li mandano“, “riportiamoli da dove sono venuti”, “sono un costo inaccettabile”; “aiutiamoli a casa loro!” nella migliore delle versioni. Ho visto i gesti caritatevoli di chi si propone con l’accoglienza alle persone.”
A Illasi, com’è ovvio, non poteva essere diversamente. Le reazioni, di qualsiasi tipo, non potevano che essere scontate, secondo i canoni dettati dal potere esercitato dai media, in un senso o nell’altro. Ma l’analisi del sindaco tende a superare questa gabbia concettuale. Se il compito di ciascuno di noi dovrebbe essere quello di analizzare i fatti e difendere i propri pensieri da ogni influenza di massa proveniente dall’esterno, e quello di un sindaco di gestire la situazioni di cui è responsabile rimanendo fermo alla portata ed al significato che le stesse devono avere nell’ambito di sua competenza, le parole di Tertulli suonano come un invito alla riflessione, esercizio sempre raccomandabile:
“Metto insieme gli uni e gli altri comportamenti e provo per un istante a non giudicare. Mi piacerebbe che anche i miei cittadini non temessero e condividessero con me la speranza di essere felici anche in una società che cambia, ma sento che la politica e i governi sono andati troppo lunghi con le soluzioni e oggi non é più il tempo dei problemi senza risposta. Non ho soluzioni, fatta questa prima analisi; mi propongo di attivare maggiori occasioni di incontro collettivo, perché parlare e confrontarsi ci aiuta a stare fuori dal circuito dei media e a stare lontani dalle notizie confezionate, ci aiuta in fondo a pensare con la nostra testa e con i dati che ci possiamo scambiare. Con orgoglio posso ammettere che la comunità di Cellore e di Illasi hanno manifestato sino ad ora le diverse posizioni in modo intelligente e civile.”
Non manca, peraltro, nelle parole di Tertulli, una chiosa amara, quando confida: “Percepisco che lo sforzo di capire soccombe di fronte alla percezione di essere stati lasciati soli di fronte alla Storia.”
Se l’immigrazione è un fenomeno epocale, forse non si tratta di accettarla o meno, di essere pro o contro. Essere pro questo tipo di immigrazione è sicuramente una follia, essere contro e basta è del tutto inutile. E’ il come che è venuto a mancare. Il famoso trattato di Berlino, del quale la varie nostre forze politiche continuano a rinfacciarsi vicendevolmente la firma (in realtà ci sono dentro un po’ tutti essendo un documento che, come abbiamo detto, è stato ripreso e firmato più volte in diversi momenti storici), stabilisce una regola tanto semplice quanto assurda: la gestione dell’accoglienza a carico del paese di arrivo, rivelando in tal modo la totale ignoranza in geografia dei nostri.… Siamo fermi lì, come dice Tertulli,
“soli di fronte alla Storia”.
La battaglia per cambiare il come, in quest’Europa di stelle aggrappate alla bandiera ma di unità portata via nel vento, spetta ai massimi vertici dei nostri rappresentanti. Le modalità per definire il come agire con otto persone su cinquemila, spetta a noi, con la nostra testa, possibilmente libera dai pro e dai contro dello sbraitare mediatico.
di Luigi Verzini