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IL DONO DI SE STESSI

il dono di se

Quando il dolore può generare guarigioni e vita. Ad un anno dalla morte prematura di Mirella Colombari, la sorella Graziella ricorda l’importanza del dono degli organi.

Mi ritrovo, a distanza di molti anni, a parlare con Graziella Colombari.

Da ragazzi ci si frequentava in compagnia: ricordo le serate trascorse nella sua casa in località Sorcè, a due passi dal Progno, dove Graziella viveva con i genitori e le sorelle Mirella e Bruna. Di anni, come dicevo, ne son passati tanti da allora, quando eravamo ragazzi e non avevamo la minima idea di quale direzione avrebbe poi preso la nostra vita, cosa ci avrebbe riservato. E il discorso, inevitabilmente, cade su Mirella, che purtroppo questa vita l’ha già lasciata, giusto un anno fa, all’età di 53 anni.

Le parole di Graziella non sanno nascondere le tracce del dolore vissuto ed escono intrise di una tristezza che, se pur parzialmente lenita dal trascorrere del tempo, rimane viva nel ricordo. Erano molto legate, Graziella e Mirella, e parlarne, mi rendo conto, per lei non è facile e non lo è nemmeno per me che la sto ad ascoltare. Ma c’è qualcosa di importante che Graziella mi vuole comunicare e che l’aiuta a sopportare il dolore provocato dalla riapertura di ferite che mai si richiuderanno completamente.

Ascolto e capisco l’importanza di quello che mi dice.

Capisco come quello che mi sta dicendo sia importante per lei, perché è qualcosa che mette in circolo una concreta speranza: la possibilità, per persone con gravi menomazioni o con patologie senza speranza di guarigione, di sapere che la generosità degli altri potrebbe loro permettere quella chance, a volte l’ultima, capace di cambiare completamente in meglio la propria vita, o di salvarla quando l’ultima speranza sembra ormai svanita.

È della donazione di organi, come si sarà intuito, che Graziella Colombari mi sta parlando. Perché oggi due persone possono vedere grazie alle cornee di Mirella: per queste due persone la vita è cambiata, completamente, e questo perché si è acconsentito al trapianto, in linea con il pensiero stesso di Mirella sull’argomento. Ma Graziella, e su questo insiste, non è interessata a parlare della propria esperienza, perché l’ultima cosa che il pudore del suo lutto e la discrezione della sua persona vorrebbero è la visibilità.

È ben conscia però che un’esposizione mediatica, per quanto non voluta, è l’unico modo per dare voce a questa possibilità di dono che chiunque, fin da vivo, può decidere di realizzare. “È la possibilità, di fronte al dramma della perdita di una persona cara”, sostiene Graziella, “di trasformare il lutto in qualcosa di utile.

È importante che si diffonda sempre più tra la gente la consapevolezza del valore di questo dono. Forse non ci si pensa molto. Sarebbe invece molto utile acquisire questa nuova mentalità”. Quella mentalità, evidentemente, era stata già assimilata in famiglia. Quando Mirella era già ammalata, infatti, era venuta a mancare la mamma e le tre sorelle decisero che qualcuno avrebbe potuto salvarsi grazie ai suoi organi (reni e fegato). Così avvenne.

Forse molti pensano che la donazione degli organi riguardi soltanto le persone che muoiono giovani. Non è così. Non c’è limite di età per le donazioni d’organi”, spiega Graziella Colombari, “Spesso gli organi delle persone anziane sono in ottimo stato e possono salvare altre vite”. È un dono in senso pieno, quello degli organi, perché anonimo.

Chi ha voluto la donazione saprà che è andata a buon fine, ma non conoscerà il beneficiato, o i beneficiati. Se donare, in senso pieno, significa non aspettarsi nulla in cambio (e in questo caso nemmeno si conosce il destinatario del proprio dono), allora si deve concludere che questa è la forma più nobile di donazione.

I ringraziamenti vengono semmai dalle strutture e dalle associazioni che operano in questo campo. Graziella mi mostra la lettera ricevuta dalla Fondazione “Banca degli occhi” di Venezia, che ringrazia le sorelle Graziella e Bruna Colombari per la donazione, assicurando che i tessuti oculari di Mirella sono stati destinati al trapianto.

Graziella si dice colpita dal clima vissuto tra le mura degli ospedali in quei momenti delicati e drammatici, quando le fu chiaro che l’opera della medicina “non finisce con la cura del paziente: “Trovo bellissimo” queste le sue parole, “che le strutture ospedaliere si interessino così tanto alla possibilità dell’espianto di organi per la loro donazione a chi ne ha bisogno.

È la medicina che va oltre, nel perseguimento della missione di curare e salvare le vite umane. È stato commovente vedere come i medici cerchino di capire fino alla fine se c’è questa volontà di donare, perché evidentemente questo significa continuare nell’opera di cura, spesso di salvezza, di altre persone malate, di altre vite che si stanno spegnendo”.

E il prematuro addio alla vita di Mirella porta con sé un altro segno di interesse alle possibilità di guarigione: Graziella ha tra le mani una lettera firmata da Flavia Tosi, sorella di Giovanna, la ricercatrice illasiana che ci ha lasciati qualche anno fa, come il nostro giornale ebbe a ricordare in un apposito servizio.

La lettera firmata da Flavia porta l’intestazione dell’ ”Associazione Giovanna Tosi per la Lotta contro i Tumori”, sorta dopo la morte di Giovanna. L’associazione ringrazia le sorelle Colombari per la donazione frutto delle offerte raccolte in occasione delle esequie di Mirella.

Nella personale condivisione del dolore provocato dal gra ve lutto per la perdita di una sorella, Flavia Tosi richiama l’importanza della ricerca per la sconfitta dei tumori, che già ha ottenuto per varie patologie di questo tipo buoni successi. Anche questa lettera che Graziella Colombari mi mostra non vuole essere la pubblicizzazione di un gesto di solidarietà – come mi viene espressamente fatto presente – ma un invito a donare, anche parte di sé stessi, perché è molto importante che qualcuno possa sopravvivere o migliorare radicalmente la propria vita grazie agli organi donati e che la ricerca possa continuare a fare passi avanti per evitare il più possibile che nuovi lutti vengano a colpire le famiglie.

 

E SE VOLESSI DONARE ANCH’IO?

 

Cosa si deve fare, se si desidera diventare donatori di organi dopo la propria morte? Le modalità, valide ai sensi di legge, sono queste: si può firmare un apposito modulo presso la propria Azienda Sanitaria Locale, si può compilare un apposito tesserino – da conservare tra i documenti personali, meglio nel portafoglio – che viene rilasciato dal Ministero della Salute o da una delle associazioni del settore (es. l’AIDO, Associazione Italiana Donatori d’Organi), scrivere semplicemente la propria volontà in tal senso su un foglio, come fosse un testamento (scrittura a mano, data e firma), da tenere nei propri documenti segnalandolo a qualche familiare (in modo che, all’occorrenza, qualcuno sappia che c’è). Le dichiarazioni rilasciate presso l’Unità Sanitaria Locale, il Comune o l’AIDO, vengono inserite in una banca dati apposita, che verrà consultata dai medici. E sempre possibile cambiare idea: vale l’ultima dichiarazione. Come si è visto nell’articolo, non vi sono limiti di età. Nel caso non esistessero volontà espresse in vita, il permesso all’espianto degli organi può essere rilasciato dai parenti stretti (genitori, figli e coniuge) . Nel caso di figli minori, devono essere d’accordo entrambi i genitori. Cosa viene donato? Solitamente gli organi trapiantabili sono fegato, reni, cuore, polmoni, pancreas e intestino. Inoltre, fra i tessuti, si procede al trapianto di cornee, ossa, pelle, cartilagine, valvole cardiache e vasi sanguigni. È vietata la donazione del cervello e delle gonadi. È importante ricordare che si può essere donatori anche in vita, in situazioni e con procedure regolate dalla legge (tra le donazioni maggiormente praticate, ricordiamo il rene, il fegato, il midollo).

 

 

Di Luigi Verzini

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